Mani che parlano: quando i rifugiati sono risorsa

Editoriale pubblicato il 23 feb 2017 nella newslsetter 7/2017

Talking hands, mani che parlano, è il nome di un  progetto nato dalle parti di Treviso dove negli spazi di un centro sociale è nato il laboratorio  dove una quindicina di rifugiati realizzano case gioco per bambini. “Rifugio” per i loro giocattoli ma anche un chiaro riferimento alla parola “rifugiato”: il nome evoca le mani che hanno realizzato questi oggetti e insieme suggerisce la funzione. Un’esperienza che insegna tante cose. Il centro è diventato punto di riferimento per molti rifugiati e, per dirla con le parole di uno di loro in risposta ad una domanda di un giornalista, “Grazie a Talking Hands abbiamo una ragione per alzarci dal letto la mattina". Se al nord l’esempio ci viene dai centri sociali, al sud è un intero paese che accoglie, integra e si fa carico di un barcone di immigrati. È l’esempio di Riace, un paese svuotato dall'emigrazione. Arriva un barcone pieno di migranti e gli abitanti decidono di accoglierli. La nuove famiglie ridanno vita al paese, permettendo l’apertura della scuola comunale e di diversi negozi, aiutano a far ripartire un'economia "ecologica" che sta ridando un futuro al paese. C’è uno scambio culturale perché i nuovi arrivati raccontano e condividono con i calabresi le loro culture così come fanno i calabresi con i migranti. Ci sono anche i racconti drammatici delle traversate e dell'allontanamento dai propri cari, comuni a immigrati e emigrati. Esperienze di vita in cui le persone si trovano vicine e si capiscono al di la di ogni differenza, scoprendo la comune umanità.
Forse è solo un problema di creatività o di coraggio, ma queste esperienze ci dimostrano che il dramma delle migrazioni può anche diventare una risorsa che ci aiuta a superare un modello di sviluppo non più sostenibile. E forse anche la strada per inverare l'evangelico invito alla condivisione come strada per la pace e la prosperità?