Smart phone e solitudine

Editoriale pubblicato il 12 ott 2017 nella newslsetter 35/2017

In un’era di iper-connessione con tutto il mondo, a disposizione sui nostri piccoli o grandi schermi, rischiamo, e nella maggior parte delle volte riusciamo, ad essere soli, profondamente soli.
A parlare di queste solitudini ci pensano in molti ma nessuno come il fotografo Eric Pickersgill riesce a darci con le sue foro il senso della solitudine. Immaginate di nascondere la chitarra nella foto di un  musicista o le posate di un commensale, riuscirete ancora ad immaginare quello che fanno. Se togliete lo smartphone a un utente, non si capisce cosa stia facendo; o, peggio, non si capisce perché sembri "altrove" rispetto a quello che fa. Senza gli smartphone, le persone appaiono occupate a leggere le linee della loro mano, come ipnotizzate dal niente. In un certo senso, queste foto sono i selfie della nostra solitudine.
Se i social ci danno l’impressione di poter raggiungere facilmente amici altrettanto facilmente ci allontanano dagli incontri reali. Ci vuole più tempo di un click, per gli incontrare dal vivo una persona, ci vuole più fatica, ma la realtà ci restituisce emozioni, sensazioni e calore umano che nessuna comunicazione virtuale può darci.
Siamo noi che decidiamo come utilizzare il nostro tempo, scegliendo di dedicarlo un po' di più a stare con gli altri, amici, parenti, o anche passanti, o magari anche facendo volontariato, possiamo arricchirci di esperienze e solidarietà che illuminano e scaldano i nostri giorni.