Perché aiutare gli altri?

Editoriale pubblicato il 16 mag 2019 nella newslsetter 17/2019

«La risposta non è scontata a una domanda che sino a qualche tempo fa sarebbe parsa puramente retorica. Oggi, in particolare, è la spinta migratoria che costituisce il contesto “nuovo” in cui interrogativi scontati si ripropongono in termini drammatici, laddove il come arriva a mettere in crisi il perché. Occorre avere profondità spirituale, qualità etiche, empatia, competenze politiche, sociologiche, giuridiche, psicologiche, pedagogiche e godere, molto spesso, di adeguate risorse economiche». (Piero Stefani)
Nelle nostre società, complesse e globalizzate, le caratteristiche e competenze elencate risultano importanti anche in semplici relazioni interpersonali. Dunque troppo difficile? Rinunciare? No. Innanzitutto non permettere che la paura, l’incertezza sul futuro prevalgano e ci blocchino. L’antidoto alla rinuncia – davanti a problemi che ci sembrano troppo grandi - è prima di tutto “cercare di capire”, perché le buone intenzioni da sole non bastano. E il Volontariato questo lo sa. Cercare di capire, per esempio, cosa vivono e sentono davvero le famiglie di quartieri romani come Torre Maura e Casal Bruciato, al netto di quanto urlano i movimenti di destra estrema come Casa Pound e dell’occupazione della protesta che hanno realizzato. Cercare di capire perché e quando la solidarietà non viene più costruita insieme ed i poveri non si riconoscono più uguali ma si fanno la guerra. “Diritto alla casa diritto al lavoro, non ce lo abbiamo noi non ce lo avranno loro” lo slogan scandito a Torre Maura ed a Casal Bruciato, dove “noi” sono gli italiani e “loro” gli stranieri. Casa e lavoro sono un diritto, ma questi diritti non sono più in solidarietà ma in concorrenza: togliere diritti anziché conquistarli, a spese di chi di diritti ne ha ancora meno. Illudendosi che togliendo a chi sta ancora più in basso qualcosa di meglio si rimedierà per chi sta appena appena sopra.