Siamo entrati nel terzo anno di guerra, si parla di circa 500 mila morti fra soldati e civili e se non bastasse, così parlano le associazione come Sant’Egido, “Oltre 5 milioni di sfollati interni”. Le ong: “42 civili uccisi e feriti al giorno”. Unicef: “Metà dei giovani fra i 13 e i 15 anni ha difficoltà a dormire e 1 su 5 ha pensieri intrusivi e flashback; tre quarti dei bambini e giovani rivela di aver bisogno di sostegno emotivo o psicosociale”. Due anni che avranno «ripercussioni sul futuro di un’intera generazione, con bambine e bambini che vivono una quotidianità precaria senza continuità a scuola, con la paura dei bombardamenti, uomini che avranno bisogno di aiuto per superare lo stress post traumatico, donne che hanno il peso della cura e della ricostruzione sulle proprie spalle». Si parla di una vera e propria «crisi collettiva», che, se non viene fermata al più presto, rischia di minare le capacità dell’Ucraina di rialzarsi una volta finito il conflitto. Per portare avanti la ricostruzione del paese, oltre all’assistenza finanziaria diretta al recupero delle imprese e delle infrastrutture cittadine, è fondamentale impegnarsi nel settore del sostegno psicosociale di adulti e bambini. Ma nonostante tutto emerge la volontà di ricostruire una vita normale. Cosa che raramente la guerra concede. Chi è rimasto in Ucraina cerca allora, di dividersi tra i «due mondi», nella speranza di ritrovare una quotidianità quanto più regolare possibile, anche se scandita dalle sirene degli allarmi antiaerei. Purtroppo non si vedono segnali di una possibile pace, anzi i due contendenti promettono di intensificare i combattimenti, mentre la mobilitazione internazionale è più debole rispetto a quella che invece, nei primi mesi del conflitto, era riuscita a fare arrivare in Ucraina un ingente sostegno.