volontariato o no??

Editoriale pubblicato il 30 apr 2014 nella newslsetter 17/2014

Pensare a Silvio Berlusconi come un volontario ci risulta un po' difficile. È sicuramente un'azione gratuita quella che il signore in questione dovrà fare, ma non è certamente volontaria. Sospettiamo anzi che egli farebbe volentieri a meno di fornire queste "prestazioni". Il modo con cui la pena sarà scontata richiama piuttosto la legge del contrappasso di dantesca memoria: ridimensionare un potente attraverso il servizio ai più deboli. L'uso del termine volontario lo troviamo quindi, in questo caso, fuorviante. Soprattutto pensando a chi il volontario lo fa davvero come orientamento di vita e non nel contesto di esecuzione di una pena inflitta. Anche la lettura dei dati ISTAT (a quale rilevazione si riferiscono?) sul recente censimento delle associazioni di volontariato ci fa sorgere qualche punto di domanda generato da una certa confusione che riscontriamo nel variegato e ultra colorato mondo del no profit. Infatti le osservazioni dei due sociologi Moro e Cotturri sulle risposte pervenute alla domanda 27 del questionario ISTAT (...quali erano le attività svolte dall'associazione no-profit nel corso del 2011?) ci fanno riflettere. Solo 103mila soggetti - su 301mila - hanno risposto alla domanda. Giovanni Moro, autore del libro "Contro il no profit" afferma: "Il non profit è un grande magma su cui occorre fare chiarezza". Sotto l’etichetta del non-profit troviamo infatti un po' di tutto: dalle associazioni di volontariato ai fondi pensione per avvocati e giornalisti, alle fondazioni e cliniche gestite da istituti religiosi. Secondo Moro ci troviamo davanti ad una grande confusione che rende difficile un’analisi dettagliata del settore. Alle domande poste dall’Istat che chiedevano di indicare la/le missioni dell'organizzazione, solo un terzo delle risposte si è collocato in valori di tipo generale e universalistico - cioè azioni dirette a tutti i cittadini, di promozione tutela dei diritti e sostegno a soggetti deboli, di cura dei beni collettivi ed esercizio di cittadinanza attiva. Gli altri due terzi (198mila soggetti) risultano svolgere attività che rientrano più in generale nella categoria di “socialità”. Ma allora - se solo un terzo di oltre 300 mila organizzazioni rilevate si possono considerare veri attori di cittadinanza attiva, che realizzano obiettivi generali e concorrono a garantire un tipo di società fondata sui valori di solidarietà e di impegno nel senso più alto … le altre che fanno?

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