giornata modiale del rifugiato

Editoriale pubblicato il 16 giu 2016 nella newslsetter 24/2016

Mille sono le voci che chiedono con urgenza una maggior sensibilizzazione al problema dei rifugiati. Il 20 giugno si celebra la Giornata Mondiale del Rifugiato voluta dall’Assemblea Generale delle Nazioni Unite che da oltre dieci anni ha come obiettivo la sensibilizzazione dell’opinione pubblica sulla condizione, spesso sconosciuta ai più, di questa particolare categoria di migranti. Uniamo anche noi la nostra piccola voce alla tante che si interrogano sul problema della migrazione. Un fenomeno che ha sempre contraddistinto la vita degli esseri umani e caratterizzata da motivazioni molteplici; tra le più frequenti la povertà o la condizione politica. Infatti dittature, persecuzioni, guerre e genocidi spingono intere famiglie a cercare salvezza e libertà approdando a Paesi più sicuri. Quello del rifugiato politico è uno status giuridico che connota alcuni cittadini privati nel paese di origine dei normali diritti civili. Le convenzioni internazionali garantiscono che, una volta ottenuto il riconoscimento di rifugiato, la persona possa esercitare nel Paese di cui è ospite il diritto allo studio, al lavoro, alla cittadinanza, alla protezione sociale e sanitaria. Numerosi governi europei non attuano né questi diritti né le politiche di riconoscimento e integrazione. Respingere i rifugiati è una grave violazione. “Accogliere coloro che fuggono – dice Ada Yonath, Nobel e attivista che si oppone all’occupazione israeliana dei territori palestinesi – è molto bello, è molto umano e deve essere fatto. Ma non è la risposta al problema. 100 mila, 200 mila rifugiati sono tantissimi. Ma sono niente rispetto ai milioni di persone che rimangono a soffrire nella loro terra. Dobbiamo fare molto di più per questi popoli; ciò che facciamo non è abbastanza”.  Non dimentichiamo mai che dietro ogni rifugiato c’è una storia che merita di essere ascoltata. Storie di sofferenze, di umiliazioni ma anche storie di chi vuole ricominciare a ricostruire il proprio futuro.