Lavoro minorile e bambine schiave

Editoriale pubblicato il 13 giu 2013 nella newslsetter 22/2013

Il dramma delle bambine schiave
Maria Luisa ha 13 anni ed è una ragazzina peruviana. Soffre di una displasia all’anca che le rende difficoltoso e doloroso ogni movimento, ma questo non l’ha risparmiata dal cominciare a lavorare come domestica in una famiglia di Cusco. A trattare con la sua nuova “famiglia” è il padre, che riesce a farsi promettere che la bambina verrà mandata a scuola. Purtroppo la realtà si rivela ben presto diversa: Maria Luisa lavora fino a 18 ore al giorno, viene pagata pochissimo e costantemente rimproverata e maltrattata perché è troppo lenta. Non ha giorni di riposo e il tempo per studiare non c’è più. Quando il padre viene a trovarla, la “signora” la rinchiude in una stanza, così che lui non possa vederla. La storia di Maria Luisa è solo una delle tante: alla vigilia della Giornata Mondiale contro il lavoro minorile, Terre des Hommes lancia l’allarme sul dramma delle migliaia di “bambine-domestiche” del Sud America che vengono trattate come schiave dalla famiglia cui prestano servizio. Il lavoro minorile domestico è una piaga nascosta che ogni anno colpisce milioni di bambine – spiegano da Terre des Hommes, l’associazione per i diritti dei bambini –  Molte famiglie, specialmente quelle più povere, considerano il lavoro domestico come l’unico sbocco lavorativo per le proprie figlie, ma questo può diventare una vera e propria schiavitù in cui viene leso ogni diritto fondamentale dei bambini: alla salute, allo studio, al gioco, alla libertà, ecc. La loro dignità viene continuamente umiliata, con maltrattamenti, vessazioni e privazione di cibo. Non sono rari gli episodi di violenza e abusi, anche sessuale, ma le bambine e le ragazze che lavorano come domestiche sono quasi sempre invisibili alla società, in quanto confinate nelle case, spesso senza più alcun contatto con la famiglia d’origine.
La storia di Maria Luisa ha un lieto fine: dopo mille insistenze, la ragazzina riesce a farsi mandare a scuola. Una sera arriva con un orecchio sanguinante: la signora glielo aveva tirato fino a ferirla. Le compagne avvisano la professoressa, che a sua volta indirizza Maria Luisa al centro Yanapanakusun, dove viene accolta. Il giorno dopo la accompagnano dalla Polizia a denunciare il maltrattamento. In seguito il centro si è occupato di farla curare in ospedale. Nonostante tre operazioni all’anca Maria Luisa è riuscita a diplomarsi: “Adesso – dice – voglio solo essere felice”.