Fermiamo la guerra in Siria

Editoriale pubblicato il 06 set 2013 nella newslsetter 28/2013

Papa Francesco contro la guerra in Siria. Durante l'Angelus di domenica 1 settembre, ha proclamato una giornata di digiuno e preghiera per tutta la Chiesa per il 7 settembre, vigilia della Natività di Maria, regina della pace. "Mai più la guerra!" è risuonato alto e forte il richiamo del Papa alla pace, in reazione ai sempre più impetuosi venti di guerra in Siria. All'indomani dell'annuncio del presidente Usa Obama sull'intervento armato, Francesco non ha esitato a lanciare il suo accorato appello per la pace, affinché si faccia "ogni sforzo" per promuovere la via del "dialogo", del "negoziato", della "riconciliazione". Il sipario si alza sul Medio Oriente, le luci posizionate per illuminare a giorno la Siria: dopo mesi di massacri quotidiani, urla strazianti, cecchini ai balconi, amputazioni, sangue a rivoli, il mondo si è accorto di ciò che sta accadendo. Il supposto uso di armi chimiche ha fatto balzare la negletta Siria al primo posto nei titoli dei giornali, come se quei 355 morti fossero vittime differenti dalle altre migliaia sepolte nel oblio e nella polvere. Dall’inizio del conflitto, secondo un bilancio non aggiornato dell’ONU, le vittime sarebbero 100.000. Ma il dramma non rispetta i confini disegnati sulle mappe dall’uomo. Anche al di là della frontiera siriana, la situazione si fa via via più tesa: l’organizzazione statunitense Human Rights Watch ha denunciato l’ormai totale chiusura di molti valichi da parte di Iraq, Giordania e Turchia. Migliaia di siriani in fuga dalla guerra vengono respinti alle frontiere, rimanendo bloccati lungo le zone di confine della Siria. L’unico paese che ancora li accoglie è il Libano, dove secondo le stime ufficiali dell’Alto Commissariato per i Rifugiati sono stati registrati oltre 550.000 siriani in fuga dal conflitto. In Giordania si trovano 480.000 siriani, in Turchia 387.000 e in Iraq 158.000. E proprio il Libano è sull’orlo del baratro, come dimostrano gli attentati a Beirut del 15 agosto e a Tripoli del 23 agosto, generati dalle tensioni importate dalla vicina Siria e dall’Egitto e da un’instabilità interna dovuta al protrarsi dell’attesa per le elezioni politiche, previste per  fine maggio e non ancora convocate.  A questo si somma l’arrivo di migliaia di siriani disperati, traumatizzati, senza più nulla, ingestibili nel numero. Una drammatica testimonianza ci arriva anche da alcune suore trappiste che svolgono la loro opera in Siria.