per non dimenticare

Editoriale pubblicato il 12 set 2013 nella newslsetter 29/2013

8 settembre 1943 l'esercito italiano è lasciato allo sbando. L'Italia si prepara alla lotta partigiana per la liberazione dalla dominazione tedesca. Certe porte di fil spinato si aprono rivelando gli orrori che avevano fino ad allora nascosto. Non solo ad Auschwitz o a Treblinca c'erano i campi di concentramento e di sterminio ma anche i nostri "bravi" soldati, complici le leggi fasciste e l'occupazione della Iugoslavia, avevano costruiti molti campi di concentramento per rinchiudere migliaia di persone innocenti, vecchi donne bambini che nulla avevano fatto e la cui solo colpa essere nati e vissuti nel posto sbagliato.Un tragico esempio di queste tragedie lo abbiamo anche nella nostra piccola patria (anzi ce ne sono diversi) ed è il campo di Gonars.un campo costruito nell’autunno del 1941 in previsione dell’arrivo di prigionieri di guerra russi, ma in questo senso non fu mai utilizzato. Nella primavera del 1942 venne invece destinato all’internamento dei civili della cosiddetta “Provincia italiana di Lubiana”, rastrellati dall’esercito italiano in applicazione della famigerata Circolare 3C del generale Roatta, comandante della II Armata, che stabiliva le misure repressive da attuare nei territori occupati e annessi dall’Italia dopo l’aggressione nazifascista alla Jugoslavia del 6 aprile 1941. Nella notte fra il 22 e il 23 febbraio del 1942 la città di Lubiana venne completamente circondata da filo spinato, tutti i maschi adulti arrestati, sottoposti a controlli e la gran parte di essi destinati all’internamento. Stessa sorte subirono in breve anche le altre città della “provincia”. Gli arrestati furono portati nel campo di concentramento di Gonars, che nell’estate del ’42 conteneva già oltre 6000 internati, ben al di sopra delle sue possibilità ricettive, che erano per meno di 3000 persone. A causa del sovraffollamento, delle precarie condizioni igieniche e della cattiva alimentazione, ben presto si diffusero varie malattie, come la dissenteria, che cominciò a mietere le prime vittime. In questo primo periodo nel campo si trovarono concentrati intellettuali, studenti, insegnanti, artigiani, operai, tutti coloro insomma che venivano considerati potenziali oppositori dell’occupazione, fra essi anche molti artisti che alla detenzione nel campo hanno dedicato molte delle loro opere. Alcuni di essi tentarono una fuga che in parte riuscì. Dopo la fuga, la gran parte degli internati vennero trasferiti in altri campi che nel frattempo erano stati istituti in Italia. Ma il campo di Gonars si riempì ben presto di un nuovo tipo di internati: uomini, donne, vecchi e bambini rastrellati dai paesi della regione montuosa a nord-est di Fiume, e prima deportati a Kampor, nell’isola di Rab (Arbe). L'arrivo di  migliaia di persone già in condizioni fisiche  di debilitazione estrema portò in breve tempo alla morte per fame e malattie di circa 500 persone. Almeno 70 erano bambini di meno di un anno, nati e morti in campo di concentramento. Il campo di Gonars, come tutti gli altri campi fascisti per internati jugoslavi, funzionò fino al settembre del 1943, quando con la capitolazione dell’esercito italiano il contingente di guardia fuggì e gli internati furono lasciati liberi di andarsene. Quasi per una sorte di nemesi il campo venne smantellato dagli abitanti di Gonars che utilizzarono i materiale del campo per ricostruire parte del paese.